Nel
pomeriggio, con l’intervento del prof. Roberto Mancini, docente di Filosofia
teoretica all’Università degli Studi di Macerata, si entra nella sezione
fondativa del Seminario.
Il
prof. Mancini, al termine della sua relazione ci invita a non essere “sgomente”
non solo per la lunghezza - dice -, ma per la grandezza del compito educativo
che ci sovrasta col rischio di sentirci inadeguate, incapaci.
Ci
“consola” con una frase del teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer che, qualche
giorno prima di essere ucciso dai nazisti, scrive ad un amico: “Lascia alle spalle la tua paura e guarda il
nuovo inizio che ti è dato”.
«Voi
- afferma -, a cui stanno a cuore le nuove generazioni potete comprendere
appieno la profondità di questa espressione».
Nella
sua ricca e appassionata esposizione, il prof. Mancini considera le dimensioni
della filialità contestualizzandole e aprendole alla prospettiva evangelica e
lo fa riflettendo sul significato del divenire figlie e figli di Dio seguendo
la via aperta da Gesù di Nazareth; individuando le tracce della coscienza della
filialità rinvenibili nella cultura contemporanea; interrogandosi circa le
implicazioni salienti per la nostra concezione dell’educazione e per il tipo di
azione che ne consegue.
Non
è facile sintetizzare quanto ha comunicato, scegliamo di concentrarci sull’ultimo
aspetto: rivedere il concetto di educazione, perché è più vicino al nostro
vissuto.
«Si
tratta - ci dice - di ripensare l’educazione, in quanto più che di “educare
alla filialità”, si pone l’esigenza di “educare nella filialità”. Ciò significa
che soltanto in un contesto in cui qualcuno ha già aderito alla vera condizione
di figlia o di figlio diventa possibile condividere il dinamismo di questa
trasformazione del modo di esistere, nonché di pensare se stessi e gli altri».
Questo
significa non solo e-ducere, cioè
tirare fuori, ma preparare i giovani all’incontro con le forze educative del
mondo: la natura, la cultura, con tutto ciò che può farli crescere in umanità.
Nell’ottica del cristianesimo è qui incluso evidentemente l’incontro con
l’amore di Dio, con la Parola, con i segni concreti della vita cristianamente
trasformata, con coloro che sanno renderlo trasparente nei contesti della
quotidianità. Allo stesso tempo, educare significa aiutare qualcuno a
completare la propria nascita, svolgendo un’azione maieutica e liberante:
liberare le persone e la loro capacità di amare.
L’istanza
finale per Mancini è quella «di diventare persone capaci di esistere con e per
amore. Persone così umanizzate da consentire finalmente quella conversione
corale per cui, invece del potere, potrà essere l’amore liberante a dare forma
tanto all’esistenza dei singoli quanto alla convivenza sociale. Ciò rappresenta
una svolta storica profondissima, di cui l’umanità non è a priori incapace».
Don
Bosco diceva che l’educazione è “cosa di cuore”. Siamo in sintonia!